La ferrovia transappenninica: il viaggio, i territori, la gente.

C’è una sola Transappenninica. Le altre due ferrovie, nate dopo e per lo stesso scopo, vengono chiamate diversamente: Direttissima, la prima; variante la seconda. Non è solo una questione tecnologica, perché le nomenclature rispettano i fatti e le energie coinvolte: ancor di più i voleri. Spesso ci diciamo che è venuta meno la magie, ma non è quella che vive di sola nostalgia, bensì un’altra: coerente con le genti ed i luoghi.
La Transappenninica non ha rappresentato un semplice “foro”, ma una congiunzione complessa e preziosa tra sud e nord: la prima. Noi oggi ne ammiriamo l’architettura industriale, ma ai lati della ferrovia nasceva una costruzione più articolata, che ha coinvolto paesi, persone, strade, attività, famiglie: il tutto nel ribollire del Risorgimento.

A noi piace pensare che il ferro, la macchina, le pietre, le mani, abbiamo costruito un’opera progettata sulla carta, ma anche nel cuore collettivo. Siamo anche convinti che chi gil ha vissuto vicino ha deciso, inconsciamente o no di donare ai binari, e al loro mondo, parte della propria esistenza. Come dire, la Porrettana non ha rappresentato una costruzione di comodo, forse neanche la più economica o funzionale: ha semplicemente posto in essere quanto ci voleva perché, con garbo, si mescolassero lingue, costumi, usanze e, per finire, vite e amori.

Un’opera così umana quale la Transappenninica diventa, anche dopo 150 anni, il teatro ideale per un racconto fotografico.

 

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